EVENTI CULTURALI n. 7/8 luglio-agosto 2007
Rivista di arte, cultura e informazione a Roma e nel Lazio
Gli audiolibri della Letteratura italiana
Incontro con Claudio Carini
A cura di Fabio Pierangeli
(docente di letteratura teatrale Università degli studi di Tor Vergata, Roma)


Il timbro di Claudio Carini, attore specializzatosi in letture d’autore, a spasso nell’intero arco della letteratura italiana, è una voce potente, capace di notevole estensione, echi, riflessi, sfumature, sempre delicatamente compagna, e non prevaricatrice, del testo prescelto. D’altra parte, al lettore, comunica la passione, la commozione per i versi che sta leggendo, come ad esempio, nella interpretazione perfetta del Canto notturno del Pastore errante dell’Asia, dove la serie di domande del pastore urgono pause di silenzio, parole sussurrate, contemplazioni aeree, ma anche, specie nel franare terribile degli ultimi versi, la non rassegnata coscienza del nulla, che soffoca la pur ammirata solitudine meravigliosa e contraddittoria del creato. Carini sceglie la solennità addolorata, l’estrema dignità scandendo lentamente: «O forse erra dal vero, / mirando all’altrui sorte, il mio pensiero; / forse in qual forma, in quale / stato che sia, dentro covil o cuna, / è funesto a chi nasce il dì natale».
Il lavoro di Claudio Carini è racchiuso in un progetto di grande suggestione: una collana di CD audio dal titolo accattivante di Recitar Leggendo Audiolibri, ideati con estrema serietà filologica, con applicazione tecnica e risultati veramente assoluti, da considerare, “un fatto artistico a sé stante”, tra i più completi nella fusione di letteratura e recitazione. Troviamo i capolavori in CD o in MP3 di Dante, Boccaccio, Petrarca, Leopardi, Verga, Pirandello, Calvino, fino all’ultima fatica, veramente pregevole e preziosa: la lettura integrale, 9 ore, del Gattopardo, di Tomasi di Lampedusa.
Alessandro Pastonchi, fiero assertore dell’ arte della lettura a voce alta senza la quale non esiste poesia, ricordava, all’inizio del secolo scorso, come il verso segnato è come lo spartito, e che la parola scritta è solo la metà della commozione della lirica stessa. Sentendo i tuoi CD mi sembra di ritrovare questa commozione, l’altro 50%….

L'altro 50% per cento è per l'appunto il suono, il suono delle parole. Per noi che leggiamo a voce alta forse questo rappresenta più del cinquanta per cento. In alcuni casi è tutto, in alcuni casi diventa musica allo stato puro, al di là del testo. Da qui la definizione: “suonare” un testo, e non leggerlo. E' la base di tutto il mio lavoro.


Mi sembra di notare una disposizione spiccatamente drammaturgica nelle tue letture dantesche, affiancandoti artisticamente a quel versante della critica che accosta i dialoghi con le anime, specie quelle dell’Inferno, ai meccanismi dialettici e ai tempi del teatro.

In effetti, dobbiamo pensare che la Divina Commedia non è altro che un grande racconto in prima persona. Dante non fa altro che raccontarci tutte le sue visioni con un ritmo ed un tono fortemente teatrali, in alcuni passi oserei dire perfino cinematografici. Spesso Dante sembra suggerirci in un certo senso le inquadrature, i movimenti di macchina, le carrellate. E i dialoghi hanno sovente un carattere teatrale, i “personaggi” sono personaggi veri, puoi immaginarteli in carne ed ossa. Seguendo questa strada è facile per la voce lasciarsi andare a ricostruire quello che è già segnato sulla pagina scritta, qualunque attore leggendoli può sentire istintivamente la teatralità di quei versi.


Che differenza di tecnica, impostazione, esercizio e respiro tra la poesia e la prosa?

La differenza tecnica è grande. Specialmente nell'endecasillabo sia la respirazione che l'intonazione della voce sono fortemente condizionati dalla musicalità del verso che, a mio modo di vedere, va rispettata per quanto più possibile. L'endecasillabo, una volta appresane la musicalità, diventa come un binario rassicurante sul quale appoggiare tranquilli la nostra voce per giocare poi con l'interpretazione a proprio piacimento. Con la prosa tutto è diverso: non ci sono regole di lettura, c'è solo una punteggiatura grammaticale che la lettura ad alta voce quasi mai rispetta pedissequamente. Possiamo variare ritmi, intonazioni, colori della voce in modo del tutto arbitrario. L'unica vera regola che mi do quando leggo brani in prosa è quella di non far sentire mai che si tratta di una lettura, ma di un racconto, utilizzando ad arte quindi tutte quelle imperfezioni (pause più lunghe del normale, variazioni di tono dovute ad improvvisi cambiamenti di stato d'animo, finte indecisioni, eccetera) che contraddistinguono un racconto.


Mi sembra assai significativa, dopo i Canti, l’affronto delle Operette morali di Leopardi, una prosa limpida, graffiante, impegnativa ma credo molto gratificante per un attore, per la intrinseca e spiccata teatralità. Lingua che era un modello per Calvino, altro tuo cavallo di battaglia…

Leopardi è stato il primo autore che ho affrontato con la mia attività di produzione di audiolibri. Si è trattato probabilmente di un processo maturato per decenni dentro il mio essere “attore”. Le origini recanatesi della mia famiglia, il mio rispetto reverenziale per un poeta così immenso, hanno sicuramente contribuito a quel lentissimo lavorio di ricerca di una possibile musicalità leopardiana (perché Leopardi, più degli altri forse, va “suonato” e non letto). Ricordo ancora l'emozione quando recitai “A Silvia” sul Colle dell'Infinito, qualche anno fa.
Nelle Operette ritorna fortemente quella teatralità di cui parlavamo anche a proposito di Dante, ritornano i “personaggi”, ed anche qui l'istinto di attore non può essere tenuto troppo a freno, Leopardi stesso ci suggerisce tutto, pause, intonazioni, situazioni.
Si, certo, tutti hanno amato molto Leopardi, come Calvino, del quale apprezzo la infinita leggerezza del “fraseggio”. Provo un piacere quasi fisico ogni volta che mi capita di leggere ad alta voce “La signora Paulatim”, un divertissement linguistico e ritmico senza paragoni.


All’inizio dell’anno sei stato impegnato in una serie di letture delle Laudi di Iacopone da Todi, nell’ambito dei festeggiamenti dei 700 anni dalla nascita del poeta tuderte. Poeta vigoroso, violento, non certo agevole per una lettura moderna. Ho avuto occasione di ascoltarti e devo farti i complimenti. Cosa hai tratto da questa importante esperienza?

Che non bisogna mai smettere di studiare. Le difficoltà tecniche per l'interpretazione a voce alta di Jacopone sono in alcuni casi quasi insormontabili e forse qui più che in qualunque altro autore la comprensione del testo non rappresenta la garanzia per una buona interpretazione. Una volta esaurito lo studio a tavolino dei suoi testi bisogna iniziare il vero lavoro: la lettura ad alta voce, facendo suonare nel modo più credibile possibile una lingua così lontana da noi.


Quali sono state le tue esperienze nel teatro di prosa e quali i tuoi progetti?

La “Apologia di Socrate” di Platone con la regia di Jurij Ferrini è lo spettacolo che che sto distribuendo in giro in questo periodo, uno spettacolo di grande impegno interpretativo. Ma tra tutti gli spettacoli che ho realizzato nella mia carriera di attore quelli che mi stanno più a cuore sono per l'appunto i “Recitals” che ho messo in scena con la collaborazione di valenti musicisti: Le tante Lecturae Dantis, i recitals di Boccaccio, Petrarca, Leopardi, Baudelaire, tutti piccoli eventi teatrali con i quali ho sempre cercato di contagiare gli ascoltatori con questa malattia ormai inguaribile: l'amore per il suono delle parole.