Rivista di arte, cultura e informazione a Roma e nel Lazio
Gli audiolibri della Letteratura italiana
Incontro con Claudio Carini
A cura di Fabio Pierangeli
(docente di letteratura teatrale Università degli studi di Tor Vergata, Roma)
Il timbro di Claudio Carini, attore specializzatosi in letture
d’autore, a spasso nell’intero arco della letteratura italiana, è una
voce potente, capace di notevole estensione, echi, riflessi, sfumature,
sempre delicatamente compagna, e non prevaricatrice, del testo
prescelto. D’altra parte, al lettore, comunica la passione, la
commozione per i versi che sta leggendo, come ad esempio, nella
interpretazione perfetta del Canto notturno del Pastore errante
dell’Asia, dove la serie di domande del pastore urgono pause di
silenzio, parole sussurrate, contemplazioni aeree, ma anche, specie nel
franare terribile degli ultimi versi, la non rassegnata coscienza del
nulla, che soffoca la pur ammirata solitudine meravigliosa e
contraddittoria del creato. Carini sceglie la solennità addolorata,
l’estrema dignità scandendo lentamente: «O forse erra dal vero, /
mirando all’altrui sorte, il mio pensiero; / forse in qual forma, in
quale / stato che sia, dentro covil o cuna, / è funesto a chi nasce il
dì natale».
Il lavoro di Claudio Carini è racchiuso in un progetto di
grande suggestione: una collana di CD audio dal titolo accattivante di
Recitar Leggendo Audiolibri, ideati con estrema serietà filologica, con
applicazione tecnica e risultati veramente assoluti, da considerare, “un
fatto artistico a sé stante”, tra i più completi nella fusione di
letteratura e recitazione. Troviamo i capolavori in CD o in MP3 di
Dante, Boccaccio, Petrarca, Leopardi, Verga, Pirandello, Calvino, fino
all’ultima fatica, veramente pregevole e preziosa: la lettura integrale,
9 ore, del Gattopardo, di Tomasi di Lampedusa.
Alessandro Pastonchi, fiero assertore dell’ arte della lettura
a voce alta senza la quale non esiste poesia, ricordava, all’inizio del
secolo scorso, come il verso segnato è come lo spartito, e che la
parola scritta è solo la metà della commozione della lirica stessa.
Sentendo i tuoi CD mi sembra di ritrovare questa commozione, l’altro
50%….
L'altro 50% per cento è per l'appunto il suono, il suono
delle parole. Per noi che leggiamo a voce alta forse questo rappresenta
più del cinquanta per cento. In alcuni casi è tutto, in alcuni casi
diventa musica allo stato puro, al di là del testo. Da qui la
definizione: “suonare” un testo, e non leggerlo. E' la base di tutto il
mio lavoro.
Mi sembra di notare una disposizione spiccatamente
drammaturgica nelle tue letture dantesche, affiancandoti artisticamente a
quel versante della critica che accosta i dialoghi con le anime, specie
quelle dell’Inferno, ai meccanismi dialettici e ai tempi del teatro.
In effetti, dobbiamo pensare che la Divina Commedia non è
altro che un grande racconto in prima persona. Dante non fa altro che
raccontarci tutte le sue visioni con un ritmo ed un tono fortemente
teatrali, in alcuni passi oserei dire perfino cinematografici. Spesso
Dante sembra suggerirci in un certo senso le inquadrature, i movimenti
di macchina, le carrellate. E i dialoghi hanno sovente un carattere
teatrale, i “personaggi” sono personaggi veri, puoi immaginarteli in
carne ed ossa. Seguendo questa strada è facile per la voce lasciarsi
andare a ricostruire quello che è già segnato sulla pagina scritta,
qualunque attore leggendoli può sentire istintivamente la teatralità di
quei versi.
Che differenza di tecnica, impostazione, esercizio e respiro tra la poesia e la prosa?
La differenza tecnica è grande. Specialmente
nell'endecasillabo sia la respirazione che l'intonazione della voce sono
fortemente condizionati dalla musicalità del verso che, a mio modo di
vedere, va rispettata per quanto più possibile. L'endecasillabo, una
volta appresane la musicalità, diventa come un binario rassicurante sul
quale appoggiare tranquilli la nostra voce per giocare poi con
l'interpretazione a proprio piacimento. Con la prosa tutto è diverso:
non ci sono regole di lettura, c'è solo una punteggiatura grammaticale
che la lettura ad alta voce quasi mai rispetta pedissequamente. Possiamo
variare ritmi, intonazioni, colori della voce in modo del tutto
arbitrario. L'unica vera regola che mi do quando leggo brani in prosa è
quella di non far sentire mai che si tratta di una lettura, ma di un
racconto, utilizzando ad arte quindi tutte quelle imperfezioni (pause
più lunghe del normale, variazioni di tono dovute ad improvvisi
cambiamenti di stato d'animo, finte indecisioni, eccetera) che
contraddistinguono un racconto.
Mi sembra assai significativa, dopo i Canti, l’affronto delle
Operette morali di Leopardi, una prosa limpida, graffiante, impegnativa
ma credo molto gratificante per un attore, per la intrinseca e spiccata
teatralità. Lingua che era un modello per Calvino, altro tuo cavallo di
battaglia…
Leopardi è stato il primo autore che ho affrontato con la
mia attività di produzione di audiolibri. Si è trattato probabilmente di
un processo maturato per decenni dentro il mio essere “attore”. Le
origini recanatesi della mia famiglia, il mio rispetto reverenziale per
un poeta così immenso, hanno sicuramente contribuito a quel lentissimo
lavorio di ricerca di una possibile musicalità leopardiana (perché
Leopardi, più degli altri forse, va “suonato” e non letto). Ricordo
ancora l'emozione quando recitai “A Silvia” sul Colle dell'Infinito,
qualche anno fa.
Nelle Operette ritorna fortemente quella teatralità di cui
parlavamo anche a proposito di Dante, ritornano i “personaggi”, ed anche
qui l'istinto di attore non può essere tenuto troppo a freno, Leopardi
stesso ci suggerisce tutto, pause, intonazioni, situazioni.
Si, certo, tutti hanno amato molto Leopardi, come Calvino, del
quale apprezzo la infinita leggerezza del “fraseggio”. Provo un piacere
quasi fisico ogni volta che mi capita di leggere ad alta voce “La
signora Paulatim”, un divertissement linguistico e ritmico senza
paragoni.
All’inizio dell’anno sei stato impegnato in una serie di
letture delle Laudi di Iacopone da Todi, nell’ambito dei festeggiamenti
dei 700 anni dalla nascita del poeta tuderte. Poeta vigoroso, violento,
non certo agevole per una lettura moderna. Ho avuto occasione di
ascoltarti e devo farti i complimenti. Cosa hai tratto da questa
importante esperienza?
Che non bisogna mai smettere di studiare. Le difficoltà
tecniche per l'interpretazione a voce alta di Jacopone sono in alcuni
casi quasi insormontabili e forse qui più che in qualunque altro autore
la comprensione del testo non rappresenta la garanzia per una buona
interpretazione. Una volta esaurito lo studio a tavolino dei suoi testi
bisogna iniziare il vero lavoro: la lettura ad alta voce, facendo
suonare nel modo più credibile possibile una lingua così lontana da
noi.
Quali sono state le tue esperienze nel teatro di prosa e quali i tuoi progetti?
La “Apologia di Socrate” di Platone con la regia di Jurij
Ferrini è lo spettacolo che che sto distribuendo in giro in questo
periodo, uno spettacolo di grande impegno interpretativo. Ma tra tutti
gli spettacoli che ho realizzato nella mia carriera di attore quelli
che mi stanno più a cuore sono per l'appunto i “Recitals” che ho
messo in scena con la collaborazione di valenti musicisti: Le tante
Lecturae Dantis, i recitals di Boccaccio, Petrarca, Leopardi,
Baudelaire, tutti piccoli eventi teatrali con i quali ho sempre
cercato di contagiare gli ascoltatori con questa malattia ormai
inguaribile: l'amore per il suono delle parole.